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Cancellazione dal registro delle imprese ed estinzione della società
Trascorsi due mesi dalla comunicazione ai soci del bilancio finale di liquidazione e del piano di riparto senza che siano intervenute impugnative, l’art. 2312 c.c. richiede ai liquidatori di provvedere a cancellare la società dal registro delle imprese e a depositare le scritture contabili nonché i documenti che non spettano ai singoli soci presso la persona designata dalla maggioranza che dovrà conservarli per dieci anni. Tale cancellazione va ovviamente richiesta anche nei casi di scioglimento senza liquidazione.
Le incertezze sugli effetti meramente dichiarativi (nonostante la cancellazione dal R.I. la società si estingue solo a seguito della definizione di tutti rapporti giuridici pendenti), o estintivi (a seguito della cancellazione la società si estingue indipendentemente dalla mancata definizione di tutti i rapporti giuridici a essa facenti capo), è stata risolta da una serie di sentenze dalla Cassazione a Sezioni Unite (del 22 febbraio 2010 nn. 4060, 4061 e 4062 successivamente confermate e integrate dalle sentenze del 12 marzo 2013 nn.6070, 6071 e 6072).
In estrema sintesi, in esse, sia per le società di persone che di capitali, si è stabilito:
- attraverso la cancellazione al Registro delle Imprese, le società di persone si estinguono a prescindere dall’eventuale sussistenza di rapporti giuridici (attivi o passivi, sostanziali o processuali) ancora facenti capo alla società;
- i liquidatori (o i soci amministratori nel caso di scioglimento senza liquidazione), perdono il potere di rappresentanza sostanziale e processuale della società;
- viene a cessare la distinzione fra il patrimonio separato proprio della società da quello personale dei soci;
- i creditori insoddisfatti nella liquidazione possono agire esclusivamente nei confronti dei soci (se sono stati loro distribuiti indebitamente beni) e dei liquidatori (nei casi di comportamenti colposi o dolosi degli stessi).
Si afferma il principio della presunzione del venir meno della capacità e legittimazione della società di persone a partire dal momento della cancellazione dal registro delle imprese. In altri termini, nelle società di persone l’effetto estintivo conseguente all’iscrizione della cancellazione dovrebbe coniugarsi con il valore dichiarativo della pubblicità, con la conseguenza che la presunzione di estinzione potrebbe essere superata dimostrando non la semplice pendenza dei rapporti non ancora definiti facenti capo alla società, ma la continuazione dell’attività.
Per la Cassazione Sezioni Unite 9 aprile 2010 n. 8426 e 8427, la cancellazione può essere a sua volta cancellata d’ufficio ex art. 2191 c.c., non per il fatto statico della pendenza di rapporti non ancora definiti all’epoca della cancellazione bensì per l’evento dinamico che “la società abbia continuato in realtà a operare - e dunque a esistere - pur dopo l’avvenuta cancellazione dal registro”. Ne consegue che la chiusura delle operazioni di liquidazione, e la conseguente formalità della cancellazione della società al registro delle imprese creano esclusivamente una presunzione di estinzione sempre suscettibile di prova contraria. Tale prova contraria, tuttavia, mentre prima dell’intervento delle sezioni unite poteva derivare dalla mancata soddisfazione di tutti i creditori sociali, ora essa potrebbe rinvenirsi unicamente nella concreta prosecuzione dell’attività d’impresa da parte della società, cha andrebbe a questo punto a con- figurarsi quale società irregolare.
Sopravvivenze passive e attive
A seguito della cancellazione della società possono emergere debiti sociali che erano rimasti fino a quel momento ignoti cioè scoperti solo dopo la chiusura della procedura liquidatoria (es. fornitore non pagato e non inserito in contabilità), cd. sopravvivenza passive, oppure residui debiti noti ma trascurati ante cancellazione (es. sentenza di risarcimento danni passata in giudicato dopo la cancellazione).
A riguardo le sezioni unite ritengono che i creditori sociali debbano agire nei confronti dei soci personalmente e illimitatamente responsabili.
Se una volta cancellata la società, quindi, dovessero risultare debiti non soddisfatti i creditori insoddisfatti avranno titolo per agire contro i singoli soci illimitatamente responsabili (art. 2312 senza esser esposti all’eccezione della preventiva escussione del patrimonio sociale), ma ponendosi in concorso con gli altri eventuali creditori particolari dei soci. Se il mancato pagamento fosse dipeso da colpa o dolo dei liquidatori potranno agire anche nei loro confronti (Cassazione 10 giugno 2011 n. 12779).
Aspetti fallimentari
Coerentemente con l’orientamento della estinzione solo formale, sembrava in passato che anche a seguito della cancellazione, la sopravvenienza di passività potesse ingenerare in ogni tempo il fallimento della società. Tale orientamento è tuttavia da ritenersi superato a seguito sia della sentenza n. 319 del 21 luglio 2000 della Corte Costituzionale, sia, e diremmo soprattutto, a seguito dei novellati art. 10 e 147 della legge fallimentare, i quali, escludono la fallibilità degli enti collettivi e dei relativi soci decorso un anno dalla cancellazione della società dal registro delle imprese. Il fallimento può infatti essere dichiarato se l’insolvenza si è manifestata anteriormente alla cancellazione medesima o entro l’anno successivo (art. 10, comma 1). Decorso un anno dall’anzidetta cancellazione la società non potrà più essere dichiarata fallita (Cassazione 3 maggio 2012 n. 6692).
L’art. 10, comma 2, consente ai creditori o al pubblico ministero di produrre prova contraria nel caso di cancellazione d’ufficio.
L’art. 147 della legge fallimentare, prevede inoltre che il fallimento della società di persone commerciale produca anche quello dei singoli soci illimitatamente responsabili, a prescindere dallo stato di solvibilità o insolvibilità dello stesso.
Tuttavia la dichiarazione di fallimento dei soci è possibile solo se l’insolvenza della società attiene, in tutto o in parte, a debiti esistenti alla data di scioglimento del rapporto sociale o dalla cessazione della responsabilità illimitata (art. 147, comma 2). Sarebbe infatti ingiusto estendere il fallimento ai soci ai quali non è imputabile il compimento degli atti che hanno determinato l’insolvenza.
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