GE. DA. sas di Giancarlo Chillè & C.
Gestione Elaborazione Dati Aziendali
La liquidazione della società
Quando il contratto non prevede le modalità per liquidare il patrimonio sociale, o sussiste un disaccordo dei soci sul modo di determinarlo la liquidazione dovrà seguire la strada della procedura formale prevista dalla legge (art. 2275 c.c.).
Mentre nelle società semplici la procedura di liquidazione è assolutamente derogabile, anche nelle snc e sas regolari, tale possibilità è riconosciuta dalla giurisprudenza prevalente, la quale ritiene che il procedimento legale di liquidazione possa essere evitato (Tribunale di Monza 18 gennaio 2001; Cassazione 3 marzo 2000, n. 2376). In altri termini, anche quando ciò non sia espressamente previsto nel contratto sociale anche nel momento in cui accertano l’avvenuto scioglimento, i soci possono decidere di omettere la liquidazione formale, sostituendo tale procedura con una divisione consensuale fra soci o chiedendo al giudice la definizione dei relativi rapporti.
In questi casi, che non prevedono la nomina del liquidatore, la suddivisione dell’eventuale patrimonio residuo fra i soci dovrà essere preceduta dal completo soddisfacimento dei creditori sociali, situazione questa in cui, per evitare il fallimento della società i soci dovranno reintegrare i capitali necessari al soddisfacimento dei debiti sociali (Cassazione 12 maggio 2010 n. 11494).
In detta situazione (divisione consensuale o convenzionale) i soci dichiarano al notaio di aver provveduto con apposito accordo tra loro a regolare ogni rapporto con i terzi e interno e quest’ultimo dopo aver evidenziato in apposito atto l’intervenuto scioglimento della società, iscrive la cancellazione della società mediante “Comunica” al Registro delle imprese.
Circa le modalità di liquidazione della società, la Cassazione sezione V 23 dicembre 2000, n. 16175 ) ha affermato l’ampia libertà di determinazione delle regole da parte dei soci, nonché la variegata formalizzazione del procedimento di liquidazione.
La procedura formale di liquidazione sarà, in ogni caso necessaria quando i soci non si accordino sulle modalità di liquidazione o comunque insorgano divergenze in merito alle attività o passività da liquidare.
La messa in liquidazione di una società non determina un mutamento della personalità giuridica della stessa, né tantomeno la sostituzione di un soggetto di diritto a un altro, ma semplicemente la modifica dell’oggetto sociale che, per effetto della liquidazione, è ora diretto alla liquidazione dell’attivo e alla sua ripartizione tra i soci, previa soddisfazione dei creditori sociali (Cassazione 19 dicembre 2008, n. 29776 ).
Gli effetti della liquidazione
a) Gli effetti per la società
A seguito del manifestarsi della causa di scioglimento la società conserva la propria individualità strutturale e la propria capacità giuridica. Ne deriva che tranne che per la modifica dello scopo sociale si verifica una piena continuità della società prima e dopo la messa in liquidazione, con la conseguenza che gli atti compiuti prima e dopo la messa in liquidazione si trovano ad essere giuridicamente vincolanti nei confronti della società stessa e dei soci. Post liquidazione l’art. 2250 , comma 3, c.c., stabilisce che dopo l’iscrizione presso il registro delle imprese della intervenuta causa di liquidazione tale status debba essere indicato negli atti e nella corrispondenza della società.
b) Gli effetti per i soci
A seguito del verificarsi della causa di scioglimento i soci acquisiscono il diritto alla liquidazione del patrimonio sociale e il diritto a ottenere la liquidazione della propria quota, data dal rimborso dei conferimenti (se residuano) e delle eventuali eccedenze, pro quota, una volta soddisfatti tutti i debiti sociali.
Ai sensi dell’art. 2280, comma 2, c.c. nel caso di insufficienza di fondi per il pagamento dei debiti sociali, i liquidatori possono chiedere ai soci sia i versamenti ancora dovuti sulle quote di sottoscrizione del capitale sociale, sia il pagamento delle somme necessarie per l’estinzione dei debiti sociali, nei limiti delle rispettive responsabilità, e in proporzione della parte di ciascuno nelle perdite. Tale situazione potrebbe verificarsi sia in caso di effettiva carenza di fondi al termine della liquidazione dell’attivo, per la copertura del passivo, sia qualora ci si trovi di fronte ad un attivo non realizzabile facilmente o con tempi non idonei al soddisfacimento dei creditori.
c) Gli effetti per gli amministratori
Al verificarsi della causa di scioglimento, gli amministratori restano in carica fino alla accettazione della nomina da parte dei liquidatori, conservando sia il potere di amministrazione che la rappresentanza della società. In questa fase gli amministratori devono limitarsi a compiere gli “affari urgenti, fino a che siano presi i provvedimenti necessari per la liquidazione (art. 2274 c.c.), cioè quelli funzionali alla conservazione del patrimonio sociale o quelli diretti a evitare pregiudizio alla società. In tale ottica sono stati ritenuti ammissibili per esempio l’esecuzione di contratti già posti in essere (Tribunale di Roma 12 novembre 1984), ma non l’assunzione di nuovi debiti che non siano correlati alle operazioni di liquidazione. Ma cosa succede se gli amministratori, al verificarsi di una causa di scioglimento gestissero la società come se la stessa non sussistesse? A riguardo pare opportuno distinguere le responsabilità degli amministratori verso la società e verso i terzi. Nel primo caso, l’amministratore che abbia compiuto atti non urgenti, pur conoscendo o potendo conoscere usando la diligenza del mandatario (ex art. 2260), che si era verificata una causa di scioglimento, potrà incorrere in responsabilità verso la società, nella misura in cui ad essa sia derivato un danno. In merito, invece, alla posizione degli amministratori nei confronti dei terzi, in assenza di una norma che imponga di dare pubblicità dell’avvenuto scioglimento nel Registro delle Imprese, pare ragionevole che la società non possa opporre al terzo di essere vincolata dagli atti urgenti compiuti dai suoi amministratori solo perché si è verificata una causa di scioglimento, a meno che non si dimostri che i terzi fossero a conoscenza della situazione giuridica in cui verte la società stessa. Ne consegue che in questi casi gli effetti dell’atto concluso dagli amministratori senza poteri (ex art. 1398, c.d. falsus procurator), ma in nome e per conto della società si produrranno nella sfera giuridica di quest’ultima, nonostante l’intervenuta causa di scioglimento, fermo restando, come si è detto, la responsabilità degli amministratori per i danni eventualmente ad essa provocati.
La posizione dei creditori
Per i creditori sociali la messa in liquidazione della società non ingenera modifiche di rilievo visto che gli stessi continueranno ad essere soddisfatti sulla base del patrimonio della società, in relazione alle scadenze dei relativi crediti. Diversa appare la posizione dei creditori particolari dei soci ma limitatamente alla società semplice o irregolare.
In relazione a dette società, infatti, dimostrando l’insufficienza degli altri beni del debitore, i creditori sono legittimati, a richiedere la liquidazione della quota del socio debitore. Lo scioglimento della società blocca tale possibilità e la posticipa al termine della liquidazione.
Lo scioglimento della società, inoltre, posticipa sempre al termine della procedura le liquidazioni delle quote spettanti a soci receduti, esclusi e ad eredi.
Le fasi della liquidazione
La nomina dei liquidatori
Adempimento preordinato all’inizio delle fasi della liquidazione formale, consiste nella nomina dei liquidatori (artt. 2275 e ss c.c.). Essa può avvenire direttamente attraverso l’atto costitutivo, con il consenso di tutti i soci o, se l’atto costitutivo lo prevede, introducendo criteri di tipo maggioritario. Nel caso di disaccordo, come si è visto, alla nomina provvede il Presidente del Tribunale. I liquidatori a seguito dell’accettazione espressa o tacita dell’incarico loro conferito prendono il posto prima spettante agli amministratori. Per tutte le società di persone di tipo commerciale (esclusa, quindi la società semplice) esiste l’obbligo, ai sensi dell’art. 2309 c.c., di pubblicazione della nomina dei liquidatori (e di ogni eventuale successivo atto di modifica delle persone dei liquidatori) mediante deposito entro trenta giorni, per l’iscrizione presso il registro delle imprese. I liquidatori possono essere sia soci, sia amministratori che estranei alla società, essere nominati a tempo determinato o indeterminato ed essere scelti anche nell’ambito delle persone giuridiche. Essi assumono il potere di gestione ossia di compiere tutti gli atti necessari per lo svolgimento della liquidazione, nonché il potere di rappresentanza di fronte ai terzi e in giudizio. Il rapporto che si instaura con i soci è di tipo contrattuale, pertanto essi hanno diritto ad un compenso poiché l’incarico conferito si presume a titolo oneroso (Tribunale di Milano 21 febbraio 2013). Entro 30 giorni dalla notizia di nomina i liquidatori devono iscrivere mediante “Comunica”, presso il Registro Imprese il provvedimento di nomina compilando il Mod. S3 e l’intercalare P. Qualora l’accettazione dell’incarico risulti contestuale alla nomina , l’iscrizione al registro imprese avviene con l’atto di scioglimento. Nel caso di omissione degli obblighi si applicano le sanzioni di cui all’art. 2630 c.c..
Il passaggio di consegne: il rendiconto della gestione
All’atto della sostituzione dei liquidatori nelle funzioni degli amministratori, si ha la consegna da parte di questi ultimi ai liquidatori dei beni e dei documenti sociali, unitamente al conto della gestione dell’ultimo periodo successivo al rendiconto (art. 2477, comma 1). Il rendiconto della gestione è un vero e proprio bilancio, riferito ad un periodo infrannuale ossia dal 1 gennaio dell’anno in corso, fino alla data della messa in liquidazione (passaggio delle consegne) che viene redatto per determinare il risultato di gestione di periodo. Nella stesura del rendiconto i criteri di valutazione da utilizzare dovranno essere di «funzionamento» ma tenendo conto dell’intervenuto scioglimento, ossia della mancanza della prospettiva di continuità aziendale. In pratica si rende necessario l’impiego di criteri differenti rispetto a quelli della prospettiva di continuazione dell’attività, ossia esso deve osservare maggior prudenza nella valutazione delle poste in considerazione dell’approssimarsi dell’estinzione dell’attività. Il conto della gestione non è soggetto all’approvazione dell’assemblea dei soci, né al rispetto di particolari forme pubblicitarie in quanto esso va semplicemente presentato ai liquidatori.
Circa i criteri di liquidazione, l’OIC 5 ritiene che nel rendiconto, venendo a mancare il presupposto dell’utilità pluriennale, non è più possibile procedere alla capitalizzazione degli oneri pluriennali, particolare attenzione dovrà esser dedicata all’accertamento del presumibile valore di realizzo dei crediti, al valore delle rimanenze per tener conto di quelle eventualmente finite fuori mercato.
Il passaggio delle consegna: l’inventario
Liquidatori e amministratori devono redigere e sottoscrivere insieme l’inventario iniziale dal quale risulti lo stato attivo e passivo del patrimonio sociale (art. 2277 c.c.). Esso, che costituisce il punto di avvio dell’attività di liquidazione (di qui la denominazione anche di bilancio iniziale di liquidazione), dovrà esser redatto, in tempi ragionevoli, anche qualora incaricati della liquidazione siano gli amministratori.
Il conto della gestione e l’inventario sono documenti differenti in quanto, il primo consiste in un bilancio di periodo composto da conto economico e stato patrimoniale ed è redatto da parte degli amministratori, mentre il secondo è una situazione solo patrimoniale ma redatta con notevole dettaglio dei beni ed è compilato con la collaborazione fra amministratori e liquidatori. Scopi principali dei due documenti sono: per il conto della gestione, di determinare il reddito della frazione di periodo, mentre per l’inventario di accertare se la procedura liquidatoria si apre basandosi su un capitale netto positivo o su un deficit patrimoniale. I criteri di valutazione da utilizzarsi per la redazione dell’inventario sono quelli di presunto realizzo. Ne deriva che nella valutazione dei beni si dovrà tener conto della nuova destinazione degli stessi a seguito della intervenuta liquidazione dell’ente, e quindi gli stessi dovranno essere valutati secondo il loro valore di mercato e non di utilizzo. Nel caso di divergenza fra amministratori e liquidatori circa la valutazione dei beni in inventario è sufficiente che tale divergenza risulti dall’inventario stesso. Ciò perché pur rispondendo dei beni inseriti nell’inventario non sono vincolati dal valore dei beni inseriti nell’inventario.
Ove gli amministratori si rifiutassero di collaborare (ferme le loro specifiche responsabilità), l’obbligo del bilancio iniziale graverebbe sui liquidatori (come avviene nelle società di capitali ex art. 2490 c.c.), che a partire da questo momento divengono il solo unico motore dell’intero procedimento.
Poteri dei liquidatori e limiti alla facoltà dei soci di stabilire i criteri di liquidazione
I liquidatori, ai sensi dell’art. 2278 c.c. “possono compiere gli atti necessari alla liquidazione”, tra i quali, per espressa disposizione legislativa rientrano anche la possibilità di vendere in blocco i beni sociali e di fare transazioni e compromessi.
Ciò non significa che attraverso l’atto costitutivo o all’atto di nomina dei liquidatori (o anche successivamente nel corso della procedura) non sia ammesso disciplinare convenzionalmente le competenze dei liquidatori e i criteri attraverso cui impostare la procedura di liquidazione (es. si potrebbe stabilire che i soci abbiano una prelazione sull’acquisto degli immobili aziendali, oppure stabilire che i liquidatori debbano per un certo periodo temporaneo continuare l’esercizio dell’impresa, senza tuttavia creare sostanziali rallentamenti alle prerogative essenziali dei liquidatori, che devono pur sempre perseguire l’obiettivo di soddisfare integralmente i creditori sociali.
In tal senso, per esempio anche il codice (art. 2278 cit.) consente una potestà decisionale dei soci solo in merito alla vendita in blocco dei beni sociali e nel porre in essere transazioni e compromessi, che gli stessi possono inibire ai liquidatori.
Le operazioni di liquidazione
Una volta accertata la situazione patrimoniale della società, i liquidatori devono iniziare la definizione e chiusura dei rapporti con i terzi. Lo svolgimento di tale compito (art. 2280 e 2281 c.c.) comporta:
- la riscossione dei crediti e il pagamento dei debiti;
- la liquidazione dell’attivo, con le conseguenti vendite dei beni aziendali;
- nel caso di fondi insufficienti per il buon esito della liquidazione, si procede alla richiesta ai soci dei versamenti ancora dovuti, sulle rispettive quote;
- la restituzione dei beni conferiti in godimento;
- la richiesta ai soci dei fondi necessari per la copertura delle perdite poiché esse hanno reso il patrimonio sociale insufficiente per l’estinzione delle passività.
Nell’ambito dell’esercizio degli ampi poteri conferiti ai liquidatori, essi potranno compiere tutti gli atti che reputano opportuni e/o necessari per il miglior esito della procedura, ivi compresi la vendita in blocco dei beni sociali o la cessione degli stessi seguendo specifici schemi di tempistica o priorità basati sulla loro discrezione. Essi potranno altresì impostare transazioni e compromessi, senza richiedere particolari autorizzazioni o istruzioni ai soci, ma operando in piena autonomia. Tutto ciò, ovviamente, salvo che nel conferimento del mandato i soci non abbiano disposto diversamente (art. 2278 c.c.).
Nell’espletamento delle loro funzioni, i liquidatori devono osservare il divieto di intraprendere nuove operazioni (ossia le iniziative non specificamente dirette alla realizzazione della liquidazione, art. 2279 c.c.) nonché il divieto di ripartire i beni sociali tra i soci finché tutti i creditori non siano stati soddisfatti o comunque non siano state accantonate le somme necessarie per saldarli (art. 2280 c.c.). La società, quindi, non può più essere gestita per perseguire lo scopo di lucro, bensì la gestione deve essere finalizzata al soddisfacimento dei terzi creditori, e con il patrimonio eventualmente residuo alla ripartizione fra i soci. In proposito si precisa che non si considerano nuove operazioni tutte quelle indispensabili per portare a compimento gli impegni contratti in epoca anteriore al verificarsi della causa di scioglimento, in sostanza queste risultano piuttosto operazioni conservative del patrimonio e non contravvengono al citato disposto codicistico.
In giurisprudenza sono state ritenute compatibili con le attività liquidatorie: l’esecuzione di un contratto già stipulato, l’acquisto di una partita di merci per renderne vendibili altre, la stipula di mutui per far fronte a pendenze urgenti ed eliminare così l’azione esecutiva dei creditori (Tribunale di Genova 29 maggio 1976), l’attività processuale di impugnazione espletata dai liquidatori in relazione a rapporti sostanziali preesistenti alla messa in liquidazione della società, attesa l’indiscutibile omogeneità di tale attività con lo scopo della liquidazione (Cassazione 6 febbraio 1999 n. 1037; Tribunale di Sanremo 12 maggio 2003), l’esecuzione di ordini ricevuti dalla clientela prima dello scioglimento e, in generale, le attività necessarie a portare a termine gli impegni assunti in precedenza dalla società (Cassazione 3 maggio 2010 n. 10647), l’intimazione del licenziamento ai dipendenti della società (Cassazione 19 gennaio 2004 n. 741).
Devono intendersi quali nuove operazioni tutte quelle che non si pongono “in rapporto di mezzo a fine rispetto all’attività di liquidazione”, o per dirla con la Cassazione quelle che “non si giustificano con lo scopo di liquidazione o di definizione dei rapporti in corso”.
In giurisprudenza sono state considerate nuove operazioni: la stipulazione di nuovi contratti di locazione (Cassazione 17 novembre 1997 n. 11383); l’aver contratto nuovi debiti che non siano strettamente indispensabili alle operazioni di liquidazione (Cassazione 9 ottobre 1979 n. 5190); l’assunzione ingiustificata di partecipazioni in società insolventi del gruppo (Tribunale di Milano 7 luglio 1995).
Per espressa previsione dell’art. 2279 c.c. i liquidatori che contravvengono al divieto di intraprendere nuove operazioni “rispondono personalmente e solidalmente per gli affari intrapresi”.
Ciò premesso, gli atti (non urgenti) posti in essere dagli amministratori privi di potere sortirebbero effetti diversi a seconda che lo stato di liquidazione dell’ente sia o meno conosciuto o conoscibile dai terzi attraverso la pubblicità legale o altri mezzi idonei.
Nel caso in cui lo stato di liquidazione fosse conoscibile a terzi, l’operazione innovativa risulterebbe loro opponibile e risulterebbe inefficace nei confronti della società alla stregua di un contratto posto in essere da un falsus procurator, con assunzione diretta di responsabilità delle obbligazioni contratte, esclusivamente in capo agli amministratori.
Qualora invece lo stato di liquidazione risulti inopponibile a terzi per mancato assolvimento degli oneri pubblicitari, le conseguenze delle nuove operazioni ricadono anche sulla società, con la conseguenza che il terzo potrà agire anche nei confronti della società per l’adempimento delle obbligazioni assunte dai liquidatori in eccesso rispetto ai poteri loro conferiti.
La concezione del divieto come limite del (solo) potere di rappresentanza determina come conseguenza, che la società potrà autorizzare i liquidatori a compiere nuove operazioni o a ratificare quelle già compiute, senza necessità della previa revoca dello stato di liquidazione.
D’altro canto nel caso di specie risultano applicabili le regole del mandato e sussiste quindi la responsabilità solidale degli stessi nei confronti della società per il corretto espletamento degli obblighi che discendono dal loro incarico.
L’art. 2280, poi, prevede che prima di procedere alla ripartizione dell’eventuale capitale residuo fra i soci, i liquidatori debbano provvedere a pagare tutti i creditori.
A riguardo si dovrà provvedere nell’ordine:
- a pagare i creditori che vantino nei confronti della società crediti certi, liquidi ed esigibili in relazione alle relative normali scadenze;
- nei casi di crediti non certi (perché ne sia contestato il titolo), non liquidi (per mancata determinazione del loro ammontare) o non esigibile (in quanto non scaduti) ad accantonare (per esempio in un conto bancario) le somme necessarie ai relativi pagamenti.
Solo dopo aver espletato tali procedure sarà legittimo procedere alla ripartizione dei beni sociali ai soci.
I bilanci intermedi
Nel caso di procedura che si protragga nel corso di più anni, la legge nulla precisa, contrariamente che per le società di capitali (art. 2490 c.c.), in merito alla redazione di bilanci annuali di liquidazione. Tuttavia si ritiene che la loro redazione sia comunque necessaria. Tale obbligo discende dall’art. 2261 c.c. inerente il controllo dei soci, secondo il quale essi possono richiedere notizie agli amministratori, analogamente che ai liquidatori, circa lo svolgimento degli affari sociali, oltre ad avere la facoltà di consultare i documenti relativi all’amministrazione e ottenere il rendiconto sugli affari per cui la società è stata costituita. Se il compimento degli affari sociali dura oltre un anno, i soci hanno diritto di avere il rendiconto dell’amministrazione al termine di ogni anno. Tale diritto non viene meno a seguito dello stato di liquidazione in cui verte la società.
Le responsabilità dei liquidatori
Gli obblighi e le responsabilità dei liquidatori sono disciplinate dalle norme che regolano l’attività degli amministratori (art. 2276) ad esclusione di quanto previsto dal contratto sociale. La principale responsabilità dei liquidatori si rinviene nel distribuire tra i soci i beni sociali (anche parzialmente) prima di pagare i creditori o quando non siano accantonate le somme necessarie a soddisfarli (art. 2280, comma 1, c.c.). I soci che vantino crediti nei confronti della società sono, in tale veste, equiparati ai creditori esterni. In questi casi, in capo ai liquidatori si addensano sia responsabilità civile, per i danni direttamente provocati al ceto creditorio, sia profili di responsabilità penale.
Si ricorda, infatti, che l’art. 2633 c.c. , prevede in questi casi di indebita ripartizione dei beni sociali, a querela di parte (sia per le società di capitali che personali), allorché i liquidatori abbiano cagionato un danno ai creditori, la reclusione da sei mesi a tre anni. In questi casi, tuttavia, va anche ricordato che il risarcimento del danno ai creditori prima del giudizio, estingua il reato.
Nel caso gli stessi contravvengano al divieto di intraprendere nuove operazioni, risponderanno ai sensi dell’art. 2279 c.c., personalmente e illimitatamente per gli affari intrapresi. Tale responsabilità non si estende a coloro che dimostrino di essere esenti da colpa. In proposito si precisa, tuttavia, che i liquidatori, durante l’ordinario svolgimento della liquidazione non assumono alcuna specifica responsabilità personale per gli atti compiuti, anche se detti atti dovessero comportare il mancato pagamento dei creditori sociali per insufficienza dell’attivo o mancata integrazione dei fondi da parte dei soci, salvo che dette inadempienze non siano state originate dal loro comportamento colposo o doloso. Certamente in tali casi di attivo insufficiente i liquidatori, non possono chiedere la chiusura della procedura ma, per andare esenti da responsabilità personali, dovranno richiedere ulteriori versamenti ai soci, nonché valutare l’opportunità di richiedere il fallimento della società o l’ammissione ad altre procedure concordatarie.
Con l’approvazione del bilancio finale i liquidatori sono liberati di fronte ai soci (art. 2311 ult. co., c.c.). I creditori sociali insoddisfatti, possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci e se il mancato pagamento è dipeso da colpa dei liquidatori, anche nei confronti di questi (art. 2312 e 2324 c.c.).
Si prescrivono in cinque anni le azioni che la società può indire nei confronti dei liquidatori per fatti dipendenti dal loro operato (art. 2949 c.c.).
La conclusione della procedura: bilancio finale e piano di riparto
La conclusione della procedura viene scandita dalla redazione del bilancio finale di liquidazione e dal piano di riparto ai sensi dell’art. 2311 c.c. (stessa regola vale nella sas in relazione al richiamo contenuto nell’art. 2315 c.c.). Riguardo al primo documento si precisa che esso altro non è che un rendiconto in merito all’esito dell’attività liquidativa con il quale i liquidatori rendono edotti i soci del loro operato al termine del mandato. Esso potrà esser redatto nel momento del compimento della liquidazione, cioè quando sono definiti i rapporti fra la società e i creditori sociali, a prescindere dalla definizione dei rapporti fra i soci. Dovranno quindi essere estinte le passività o depositate le somme necessarie alla loro estinzione, non dovranno invece necessariamente essere convertite in denaro tutte le attività sociali, essendo ammissibile una loro divisione in natura (art. 2283 c.c.). Altresì non è richiesto che tutti i crediti risultino riscossi potendo essi esser distribuiti fra i soci.
Oltre al bilancio, se dalla liquidazione risulta un residuo attivo, i liquidatori devono proporre ai soci un piano di riparto che consiste in un prospetto sulla base del quale, nel caso di attività residue, si propone di suddividere le stesse fra i soci. Se i liquidatori sanno di poter distribuire l’attivo in natura, il piano di riparto deve offrire anche una valutazione economica dei beni da distribuire. La ripartizione dell’eventuale residuo attivo della liquidazione deve essere preceduta, oltre che dal pagamento dei debiti sociali, anche dalla restituzione dei beni conferiti in godimento (art. 2281).
Il bilancio sottoscritto dai liquidatori e il piano di riparto proposto devono essere comunicati ai soci con raccomandata o con mezzi equivalenti (posta certificata, notificazione o consegna diretta). Il meccanismo dell’approvazione tacita previsto dal legislatore (e conservato nell’ambito della riforma delle società di capitali) fa sì che essi si intendono approvati se non vengono impugnati nel termine di due mesi dalla comunicazione (art. 2311, comma 2). L’approvazione tacita prevista dall’art. 2311 non esclude, tuttavia, l’utilizzo dell’approvazione espressa. I soci, infatti ben potranno approvare il bilancio e il piano di riparto mediante approvazione espressa, la quale tuttavia, dovrà avvenire all’unanimità. Tale procedura potrebbe essere prevista direttamente nell’atto costitutivo in fase di nascita della società o, successivamente attraverso una modifica dello stesso.
Ai sensi dell’art. 2282 c.c., infatti, l’attivo residuo, dopo l’estinzione dei debiti sociali è destinato al rimborso dei conferimenti, in proporzione della parte di ciascuno nei guadagni. La ripartizione dei beni, se previsto nel contratto sociale, può avvenire anche in natura (art. 2283 c.c.), applicando le regole ivi stabilite o quelle sulla divisione delle cose comuni (Cassazione 5 agosto 2011 n. 17061). In sostanza, venuto meno il vincolo di destinazione all’esercizio dell’impresa, i beni residui sono trattati come ricadenti nella disciplina della comunione ai sensi degli artt. 1100 e ss c.c.
Si ritiene ammissibile inserire nel contratto sociale, fino all’epoca in cui si verifichi la causa di scioglimento, una clausola programmatica, finalizzata a determinare liberamente i criteri di riparto dell’attivo di liquidazione in maniera difforme ai criteri di legge.
Ovviamente una volta pagati i debiti sociali e restituiti ai soci gli eventuali beni in godimento, qualora non sussista residuo attivo in quanto le perdite superino i conferimenti, la differenza negativa sarà imputata ai soci in proporzione alla loro partecipazione alla perdi- te (art. 2280, co. 2).
Impugnazione dei soci
A seguito della comunicazione del bilancio finale e del piano di riparto, a mezzo raccomandata ai soci, questi possono, nel termine di due mesi, decidere di impugnarlo presso il Tribunale, diversamente lo stesso sarà considerato approvato. L’impugnazione da parte dei soci può interessare uno solo o entrambi i documenti, in quest’ultimo caso, il terzo comma dell’art. 2311 c.c. prevede che il liquidatore possa richiedere che le questioni relative alla liquidazione siano esaminate separatamente da quelle relative alla divisione, rispetto alle quali il liquidatore può restare estraneo, lasciando che esse siano stabilite di comune accordo fra i soci.
In proposito, si rileva che, mentre il piano di riparto consiste in una mera proposta che può quindi essere modificata sulla base dell’accordo fra i soci, diversa è la questione inerente il bilancio di liquidazione che rap- presenta il resoconto dell’operato dei liquidatori (incassi, pagamenti, ricavi, costi, sostenuti durante la procedura, nonché il compenso attribuito ai liquidatori) e del qua- le pare coerente che gli stressi ne rispondano di fronte ai soci.
Revoca dello stato di liquidazione
Ci si chiede, poi, se lo stato di liquidazione, sia revocabile o meno, cioè se sia ammissibile per i soci far tornare la società in liquidazione allo stato di normale attività d’impresa. Tale possibilità è ritenuta lecita nella totalità delle cause di scioglimento, previo evidentemente, la rimozione della causa di scioglimento. La liquidazione è da ritenersi revocabile sulla base del principio contrattuale che regola le società. Sulla base delle disposizioni dell’art. 2273 c.c. che ammette la proroga tacita della società, si ritiene che tale decisione debba essere presa all’unanimità, in relazione all’esigenza di tutelare il diritto individuale del socio all’esigibilità della sua quota di liquidazione. Sussistono, tuttavia, teorie diversamente orientate fra cui degna di menzione appare quella che ritiene la revoca efficace anche se decisa da alcuni soci purché ai dissenzienti sia riconosciuto il diritto di recesso per giusta causa e liquidati di conseguenza (come peraltro avviene nelle società di capitali). Nell’ottica della tutela dei diritti acquisiti dai terzi, poi, si ritiene che la revoca produca effetti ex nunc, ossia a partire dal momento in cui si è verificata la situazione giuridica che ha determinato la revoca dello stato di liquidazione. Restano salvi gli effetti, quindi, degli atti prodottisi nel periodo intercorrente dal verificarsi della causa di scioglimento e la revoca della procedura cioè di durata sia pure temporanea della liquidazione. Le deliberazioni dei soci che, eliminando una causa di scioglimento, o revocando la liquidazione, manifestano la volontà che la società debba continuare a vivere senza soluzione di continuità, non danno luogo alla costituzione di un nuovo ente separato e distinto dal precedente, ma importano la reviviscenza dell’ente disciolto e il suo ritorno allo stato antecedente il verificarsi della causa di scioglimento.
I creditori particolari del socio, legittimati a fare opposizione alla proroga della società ai sensi del comma 1 dell’art. 2307 c.c. (entro tre mesi dall’iscrizione della deliberazione di proroga al registro delle imprese), possano opporsi anche alla revoca della liquidazione, venendo meno anche in questo caso la possibilità di chiedere la liquidazione della quota al socio debitore (ex art. 2305 c.c.).
Anche la revoca della liquidazione, integrante una modifica del contratto sociale, è soggetta a pubblicità legale presso il registro delle imprese con la presentazione dei modelli S3 e intercalare P da presentare a cura dell’amministratore o del notaio, ai sensi dell’art. 2300 c.c..
La revoca della liquidazione comporta la decadenza dei liquidatori e il subentro degli amministratori da nominare contestualmente.
Revoca dei liquidatori
I liquidatori possono essere revocati per volontà di tutti i soci o per giusta causa ad opera del Tribunale su domanda di uno o più soci a norma del secondo co. dell’art. 2275 c.c.. Sono considerate giusta causa di revoca, per esempio, il comportamento inerte rispetto alle esigenze liquidatorie, nei confronti del quale è ammissibile anche il ricorso al provvedimento di urgenza ex art. 700 c.p.c. (Tribunale di Milano 20 novembre 2000). Analogamente, si ritiene giusta causa il compimento di gravi e reiterate irregolarità quali, per esempio, la mancata predisposizione dei bilanci o dell’inventario (Corte d’Appello di Milano, sezione I, del 28 settembre 2004). La revoca, come tutte le vicende relative al rapporto con i liquidatori che ne comportino il cambiamento o la sostituzione, deve essere portata a conoscenza dei terzi con mezzi idonei quali la pubblicazione nel registro delle imprese entro trenta giorni dalla notizia (art. 2309 c.c.).
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